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Dallo spettacolo, l’amara constatazione che esistiamo solo attraverso – e grazie – agli altri, e sono i loro giudizi, la loro percezione di noi a definirci. E’ da questa metafora della realtà che esce la vera condanna dell’inferno: essere condizionati dalla presenza e dal giudizio altrui, da cui si vorrebbe attenzione e riconoscimento, consapevoli che qualsiasi cosa noi facciamo, l’ultima parola spetterà sempre agli altri.  

 

 

2015

 

Ines e Garcin

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AVANTI

Un gioco di bisogni e di rifiuti. E questo “gioco obbligato” di relazione con l’altro, non finirà mai, come l’inferno, diventando una condanna, ma al tempo stesso una sfida. La grande sfida della vita. Non ci saranno né vinti né vincitori. Solo persone.

La drammaturgia dello spettacolo ha voluto evidenziare questa metafora apparentemente amara, che può e dovrebbe costituire un importante spunto di riflessione sul condizionamento alla propria libertà, ma anche una presa di coscienza attiva e costruttiva di tale condizione. 
L’altro è il mio inferno, ma al tempo stesso è il mio specchio.

Forse solo così potremo conoscere di più la vita, scoprire se è sogno oppure no, e andare oltre…..noi stessi….

 

Spettacolo liberamente tratto da “A porte chiuse” di L.P. Sartre

 

Due personaggi, un uomo, Garcin, e una donna, Inès, sono condannati a convivere per l’eternità, all’inferno, ricreando seppure in maniera estremizzata la condizione di relazione ravvicinata e obbligata tra due persone. 

 

 

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